Progetto “Carceri territorio senza dolore”

Progetto "Carceri territorio senza dolore"

Intervista all'avvocato Francesca Sassano

Avvocato Sassano, come nasce e a chi si rivolge questo progetto?

Sono da tempo attenta alle questioni "carceri". Per questo motivo ho redatto un progetto destinato all'applicazione delle legge 38/2010 all'interno degli istituti di detenzione, in quanto ho constatato un vuoto applicativo proprio in un tessuto quanto mai sensibile. Ad oggi non vi è conoscenza né applicazione di questa normativa all'interno delle carceri.

Cosa vuol dire?

L'articolo 7 della legge recita così: "Obbligo di riportare la rilevazione del dolore all'interno della cartella clinica 1. All'interno della cartella clinica, nelle sezioni medica e infermieristica, in uso presso tutte le strutture sanitarie, devono essere riportati le caratteristiche del dolore rilevato e della sua evoluzione nel corso del ricovero, nonché la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati, i relativi dosaggi e il risultato antalgico conseguito. 2. In ottemperanza alle linee guida del progetto "Ospedale senza dolore", previste dall'accordo tra il Ministro della sanità, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in data 24 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 149 del 29 giugno 2001, le strutture sanitarie hanno facoltà di scegliere gli strumenti più adeguati, tra quelli validati, per la valutazione e la rilevazione del dolore da riportare all'interno della cartella clinica ai sensi del comma 1." (Legge n. 38, 15 marzo 2010). Ma questa disposizione è inapplicata all'interno delle carceri, con grave danno della salute del detenuto e pari esposizione di responsabilità dello Stato.

Qual è la situazione all'interno delle carceri?

Molto grave. Gli stabilimenti carcerari, salvo qualche rara eccezione, sono in condizioni disastrose. I detenuti vivono abbandonati alla rinfusa in indecenti, asfissianti cameroni o costretti in parecchi in celle infelicissime. Tutti gli istituti ospitano un numero superiore di individui rispetto a quello previsto dalla capienza massima. È quello che scrive nel 1944 la Commissione visitatrice e di assistenza ai detenuti nella sua relazione, dopo aver visitato le carceri dell'Italia liberata. La situazione da allora non è affatto migliorata. Il 31 dicembre 2012 le persone detenute nei 206 istituti di pena italiani erano 65.701, a fronte di una capienza regolamentare complessiva dichiarata di 47.040 posti. Il tasso di affollamento delle carceri italiane è dunque del 140%, ciò vuol dire che per ogni 100 posti disponibili sono detenute in cella 140 persone: per un detenuto su tre non c'è posto. Questo in media, perché ci sono case circondariali in cui le persone detenute sono ben più del doppio rispetto alla capienza regolamentare. Una situazione insopportabile che ha portato nel 2009 la Corte europea dei diritti dell'uomo a condannare l'Italia perché la detenzione in queste condizioni rappresenta un trattamento "inumano e degradante".

Lo Stato Italiano è stato già sanzionato, per questo

Sì, nei primi giorni del 2013 la Corte di Strasburgo ha nuovamente condannato l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo, quello che proibisce la tortura e i trattamenti inumani o degradanti, a risarcire sette persone che avevano presentato ricorso per le condizioni di sovraffollamento: alcune di esse erano detenute nel carcere di Busto Arsizio all'epoca dei fatti. Si tratta questa volta di una sentenza pilota che definisce la situazione italiana come "strutturale" e impone all'Italia di intervenire per risolverla entro un anno. Presso la stessa Corte ci sono ancora molte cause pendenti di ricorsi presentati da cittadini detenuti in Italia, è dunque probabile che verranno pronunciate nei prossimi mesi altre condanne per le condizioni inaccettabili in cui versa il sistema penitenziario italiano. A questi dati occorre aggiungere quello che, più di ogni altro, segnala la drammaticità della situazione carceraria italiana: nel corso del 2012 hanno deciso di togliersi la vita in carcere 60 persone. Sono complessivamente più di 750 le persone che si sono tolte la vita in carcere dal 2000 a oggi.

Cosa si propone con questo suo progetto?

Lo esprimo con il titolo: "Le carceri territorio senza dolore". Credo che l'equazione corretta tra sconto della pena e rieducazione della persona, non debba percorrere la tangente del dolore. Lo stato di detenzione priva il soggetto anche delle autonome determinazioni in ordine alle cure mediche e l'ingresso delle medicine è gestito necessariamente dall'interno della struttura con limitate e autorizzate diverse possibilità di visite specialistiche e di prescrizioni. Se ciò è conforme allo stato di detenzione, ne consegue però un affidamento e una responsabilità, sicuramente ampia, per quegli accertamenti necessari alla salute del detenuto, e soprattutto una attività di prevenzione per le patologie conseguenti alla detenzione. Il detenuto ha diritto alla conservazione del suo stato di salute, al monitoraggio sulla compatibilità dello stato di detenzione con il suo stato di salute e alla prevenzione nei confronti di insorgenti e possibili patologie, se contratte durante lo stato di carcerazione. Lo Stato deve quindi assicurare che all'interno della cartella clinica del detenuto, se già affetto da patologie, venga effettuata la rilevazione, secondo gli standard medici, della soglia di dolore dello stesso e venga assicurata adeguata terapia. Anche per il detenuto sano, la rilevazione va effettuata, al fine di mantenere costante l'attenzione sui livelli del dolore. Ancora maggiore attenzione va posta nei confronti, per specifico tema, dei detenuti in attesa di giudizio e quelli sottoposti a misura custodiale, per i quali l'allocazione nel medesimo istituto di esecuzione di pena definitiva (quindi di espiazione di sentenza definitiva) è essa stessa una aberrazione e come tale un evento che può provocare un dolore cronico.

Quindi la detenzione in assenza di adeguata rilevazione e di pronta terapia antalgica può provocare una patologia?

Esatto. Questo è il campanello d'allarme che si sta attivando con la comunicazione della disapplicazione della legge 38/2010 all'interno delle carceri e precisamente dell'art. 7. "La definizione stessa di "dolore cronico" è stata oggetto di un processo evolutivo enorme. Per decenni si è considerato il dolore cronico esclusivamente come il sintomo di un'altra patologia. Oggi sappiamo che il dolore moderato o grave è qualcosa che va oltre questa nozione: il dolore cronico e di per sé una malattia. Anche il concetto medico comune di "cronicità" assume un'accezione peculiare, quando si parla di dolore: il dolore è cronico non perché perdura da un lasso di tempo importante, bensì perché la causa che lo genera non è risolvibile.

In che cosa consiste questo progetto?

E' un progetto formativo e applicativo della legge 38, ad oggi "latitante" nelle strutture carcerarie, esso prevede la formazione/abilitazione di formatori attraverso un corso da effettuare in maniera itinerante nelle varie regioni italiane e presso le strutture carcerarie, avendo come scopo quello di formare tutti i medici e gli psicologi. Il ruolo degli psicologi, nell'ambito della palliazione, risulta molto ben definito già nelle finalità della Legge 38 del 2010: fra i principi fondamentali enunciati esistono la tutela della dignità e dell'autonomia del malato, la tutela e promozione della qualità di vita fino al suo termine, la necessità di fornire un adeguato sostegno alla persona malata. In tal senso la legge prevede programmi di supporto psicologico anche all'équipe curante e di supporto al lutto. I detenuti presentano con estrema frequenza elevati livelli di stress psicologico che, come conseguenza, comportano una ridotta capacità volitiva, una diminuita qualità di vita, un'amplificazione dei sintomi fisici, una minore capacità relazionale, un'incrementata angoscia nei familiari, la presenza di pensieri suicidari. La carcerazione è afflittiva per sua natura, sia essa intesa come sanzione pura che come rieducazione prospettica. La soglia della rilevazione del dolore è un obbligo primario dello Stato che detiene il cittadino, ancora di più dell'adeguatezza di spazio, poiché è la stessa detenzione che provoca questa patologia. Quindi, è onere dello Stato restituire alla libertà un cittadino sano e non malato, di qui la necessità di rilevazione della soglia del dolore per ogni soggetto detenuto attraverso l'istituzione del diario personale. Ancora maggiori e più ampie riflessioni sarebbero da evidenziarsi sulla detenzione cautelare, con ricadute legislative più forti e incidenti sull'esistenza e compatibilità di una misura che non essendo afflittiva, ha esigenze e finalità diverse dallo sconto della pena. E' oggi evidente l'inadeguatezza del sistema repressivo punitivo e soprattutto cautelare, tuttavia la legge 38/2010 offre un ambito privilegiato di applicazione e di riflessione.

Come si sta muovendo?

Ovviamente a livello divulgativo. Con la mia presenza in reti televisive, con gli organi di stampa. Ho anche sollecitato le riflessioni sul progetto agli Uffici dei Garanti dei detenuti, in ogni regione d'Italia. Ho preso contatti con la Commissione Ministeriale della Legge 38 nella persona del Prof. Guido Fanelli, dal quale ho già ricevuto plauso per lo studio e un cortese incoraggiamento a proseguire in questo progetto. Ho interesse nel coinvolgere le associazioni del settore, gli appartenenti alla politica sensibili e anche i singoli, capaci di dare un contributo allo stesso. Per questo ho stabilito anche una partnership con la Fondazione Paolo Procacci per la consulenza scientifica.

A cura della redazione web

Qualche nota di sintesi sulla legge 38

La legge 38 del 15 marzo 2010 (Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore (10G0056) (GU n.65 del 19-3-2010) Entrata in vigore del provvedimento: 03/04/2010 ) - approvata all'unanimità da tutte le parti politiche - sancisce il diritto del cittadino ad essere curato, per la malattia dolore con adeguata terapia del dolore, ed è rivolta agli oltre 16 milioni d'italiani che oggi soffrono di un dolore cronico, fondamentalmente di natura non oncologica. L'emanazione della Legge n. 38 del 15 marzo 2010 ha rappresentato un traguardo importante nel panorama sanitario italiano ed europeo.
La Legge 38/2010 è tra le prime in Europa a fornire risposte ai bisogni della popolazione in tema di cure palliative e di dolore cronico, stabilisce la presenza di due reti di assistenza che devono rispondere alle esigenze e ai bisogni sia del paziente che necessita di cure palliative sia del paziente affetto da dolore cronico. Inoltre, dedica una particolare attenzione al paziente pediatrico, definendo una rete per la quale la presa in carico e l'assistenza è indirizzata al bambino e alla sua famiglia, riconoscendolo come paziente con specifici bisogni ed esigenze. La legge, approvata dal Parlamento Italiano nell'anno 2010, trova la sua piena applicazione solo grazie al costante impegno delle istituzioni (centrali, regionali e locali), dei professionisti e del terzo settore mediante il quale si riescono a superare le criticità che si presentano e si individuano i percorsi attuativi.

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