Social media e pazienti

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Social media e pazienti

 

"La terza rivoluzione (in medicina, ndr) non sarà guidata da più tecnologia e certamente non da maggiori risorse finanziarie, ma è in corso, guidata da tre forze: i cittadini, la conoscenza e Internet. ... L'assistenza sanitaria non ha ancora usato al meglio le nuove tecnologie, ma i pazienti le stanno usando in misura crescente." Così scrive Sir J.A. Muir Gray (Università di Oxford) nella presentazione all'edizione italiana del libro di Letizia Affinito e Walter Ricciardi (e-patient e social media, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma).
Con una semplice ricerca su Facebook si possono già trovare vari gruppi di discussione di pazienti, molto attivi e con considerevoli numeri di partecipanti. Qualcuno vede anche il coinvolgimento di medici, elemento di grande novità e interesse, vista la comprovata, e anche comprensibile, resistenza dei medici a intervenire nei gruppi social, che non siano di specialisti, o di amici (anche i medici hanno diritto a un po' di "social divertissement").
In un articolo di Elena Gonzalez-Polledo, studiosa di etnografia presso la London School of Economics, pubblicato su Social Media + Society (Chronic Media Worlds: Social Media and the Problem of Pain Communication on Tumblr), viene presentata una interessante ricerca sulle comunità di malati cronici presenti su "social" come Instagram e Tumblr. Gonzalez-Polledo ha analizzato gruppi di pazienti con fibromialgia, emicrania, malattia di Crohn e artrite. Nel gruppo vengono condivise confidenze, come in un diario personale, foto selfie, raccomandazioni, consigli, creando "scale del dolore alternative" che misurano anche l'impatto sociale e psicologico del dolore, che spesso non è riconosciuto nelle valutazioni cliniche. I social network "offrono l'opportunità di far comprendere l'esperienza del dolore a chi non ne soffre" e offrono ai malati cronici la possibilità di condividere con chi ti capisce, perché nella tua stessa condizione, dando sollievo e senso di vicinanza.

Torniamo al libro e-patient e social media. Nella introduzione vengono ampiamente citati alcuni dati significativi. Ecco qualche esempio: la ricerca Censis-Monitor Biomedico (2014) ci informa che a utilizzare internet come fonte di informazione sanitaria è ormai il 42% degli italiani. Il 78% si informa su patologie specifiche, il 29% per cercare medici e strutture, il 25% per prenotare visite, esami o comunicare tramite e-mail con il proprio medico.
Un'altra indagine, Web in salute, è stata condotta su di un campione di 745 navigatori online, e ci descrive questa situazione: nel 2015 la percentuale di consultazione Internet è arrivata all'83% (qualche volta, 38% o spesso, 45%). Il 64% ha trovato informazioni su di un trattamento terapeutico negli ultimi 12 mesi e il 49% ne ha parlato con il suo medico, mentre il 40% è stato sollecitato a parlare di un problema di salute di cui non aveva mai discusso prima; il 30% ha acquistato in farmacia il trattamento trovato online senza chiedere al medico. Il 54% degli intervistati, dopo aver parlato con il medico di un'informazione trovata online, ha ricevuto queste indicazioni dal medico: gli è stato prescritto un farmaco con obbligo di prescrizione (54%), suggerimenti per modificare il proprio stile di vita (48%), prescrizione di un farmaco da banco (30%), prescrizione di analisi diagnostiche e di laboratorio (71%), o consigli per rivolgersi a una struttura sanitaria (22%). Il 40% ha dichiarato che il nome del farmaco/trattamento prescritto dal medico era lo stesso trovato in Internet.
Ma sentiamo ora la "campana" dei medici: per il 44% l'informazione di salute online non aiuta a educare e informare i pazienti sui trattamenti disponibili per loro e per il 57% non aumenta la compliance dei pazienti nel seguire raccomandazioni, test diagnostici o prescrizioni. Le notizie online incoraggerebbero i pazienti a cercare trattamenti di cui non hanno bisogno (29% delle risposte), a ricorrere al fai da te (38%), a fare accertamenti diagnostici non necessari (40%), senza fornire peraltro informazioni equilibrate sui rischi e sui benefici (32%). Tra il 45% dei medici che riconosce un qualche tipo di effetto positivo all'informazione di salute online, solo l'8% lo definisce un "grande effetto positivo" e il 37% "piccolo effetto positivo". Per il 44% dei medici intervistati le informazioni che i pazienti hanno letto in Internet su patologie e terapie sono "per nulla accurate", il 10% dei medici ha prescritto lo stesso trattamento menzionato online perché era quello più efficace per quel paziente (88%), secondo il 35% la discussione con il paziente per parlare di quanto letto online ha prolungato negativamente i tempi di visita.
Secondo gli autori del libro, "pazienti correttamente informati possono aiutare a migliorare la pratica medica", ma "occorrono programmi di comunicazione digitale efficaci, in grado di coinvolgere i pazienti creando valore per le organizzazioni". Tutti gli stakeholder (medici, ospedali, strutture sanitarie, servizi e apparecchiature, aziende farmaceutiche, biotecnologiche, assicurazioni) devono essere coinvolti per imparare a conoscere meglio questi formidabili mezzi di comunicazione, "per raccogliere, condividere e comunicare le informazioni, mettendo al centro il paziente e offrendo maggior valore alle organizzazioni e ai pazienti."
La strada è in salita, ma sicuramente va percorsa.
Torneremo a parlarne prossimamente.

Lorenza Saini
20 marzo 2016

 

 

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